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Immagine del redattoreGiardiniBambini

AmarCorde

Se chiudo gli occhi e vado indietro con la memoria alla mia prima infanzia, tra i primissimi ricordi, vedo ancora le mie manine intente ad afferrare le arcuate sbarre color ottone, del cancello di casa. Infilare con precisione crescente i piedini negli spazi vuoti tra i geometrici disegni del cancello, sollevare il mio peso spingendo sulle gambette per serrare le mani su una sbarra più in alto, e continuare così l’ascesa fino in cima, fin dove la soglia della porta impediva di proseguire.

Poi la voce del rimprovero mi raggiungeva “Ti ho detto di scendere dal cancello! Quante volte ti ho detto di non farlo?!”, spesso seguita dal coatto sollevamento del mio corpicino per venire rimesso a terra, dietro alla porta chiusa.

Tenendomi afferrato a queste immagini, altre ne escono dal cilindro della memoria come le vertiginose pareti della mia infanzia da scalatore. Qui gli appigli per l’ascesa erano ante e cassetti con i quali potevo raggiungere quegli spazi segreti e polverosi tra la cima del mobile e il soffitto. E per bambino quale ero quei mobili erano grandi come montagne. Le sgridate e i rimproveri seguitavano regolarmente ogni volta che venivo scoperto, ma crescendo avevo elaborato qualche attenzione in più nel non farmi vedere.

Dai 7 anni ricordo i cedri dei “campi solari”. Una sequenza sicura tra i rami, come una scaletta, per salire furtivamente al riparo dagli sguardi indagatori degli educatori. Proprio qui 6-8 metri d’altezza con altri bambini, passavamo interi pomeriggi appollaiati sui rami a fantasticare.


Da bambini arrampicarsi sembra una pulsione innata, dopo la deambulazione e la corsa, segue l’arrampicata sugli alberi.

Non sempre però sono presenti nei giardini alberi adatti a questo scopo, talvolta sono eccessivamente esili, ma più spesso sono troppo cresciuti e rami ad altezza bambino non sono più presenti. Talvolta sono stati volontariamente asportati da qualche pedissequo responsabile della sicurezza, per evitare scontri con le teste dei bambini o ancor più infilzamenti di rametti negli occhi. Già, gli occhi dei bambini, che nell’immaginario di alcuni son sempre così pronti a trovare qualcosa di nuovo con cui infilzarsi.

Talvolta invece sono stati asportati proprio per evitare che i bambini ci si arrampicassero, una di quelle cose “sconvenienti” che gli adulti sembrava dovessero insegnare a “non fare”, come il tanto ripetuto “non mettere le dita nel naso!”.


Fortunatamente ora i benefici che il bambino ottiene nel tentativo di arrampicarsi cominciano ad essere diffusamente conosciuti e riconosciuti. Noi adulti però, che riusciamo a prevedere le conseguenze dell’errore, spesso ci troviamo tesi e spaventati all’idea di un bambino sull’albero. Spaventati proporzionalmente al crescere della distanza tra il suolo e il bambino, perché sappiamo che aumenta anche la potenziale gravità in caso si infausto errore.

Eviteremo in questo piccolo articolo di porci la domanda della connessione tra il nostro spavento e l’abitudine perduta da noi stessi adulti di compiere la medesima azione, piuttosto ci domanderemo alcune soluzioni per rispondere al bisogno di arrampicarsi dei bambini, senza che la distanza tra loro e il suolo possa portare in caso di caduta gravi conseguenze.


Le corde perchè?

Le corde sono uno strumento che, opportunamente posizionato, permette di potersi arrampicare, sperimentare equilibri e dondolii, giocare col corpo, e quindi di aprire svariate opportunità interpretative nell’uso di questo e dei movimenti possibili.

Le corde sono efficaci anche in presenza di alberi grandi, che non hanno più rami ad altezza bambino.

Le corde sono un gioco non strutturato, ne connotato, che ben si presta all’intessitura fantastica del gioco simbolico.

Una semplice corda tesa tra due alberi può diventare un ponte, un muro, un ramo, una barriera, una ragnatela, un serpente, una liana, un cavallo, etc.


Uso delle corde come gioco temporaneo

Piuttosto che immaginare di arricchire un giardino installando una struttura fissa di corde, suggeriamo di cambiare il punto di vista e pensare di arricchire la proposta educativa con un kit di corde per inventare sempre dei giochi nuovi. Ovvero diventare noi stessi competenti nell’usare le corde come elemento di gioco, piuttosto che immaginarle alla pari di uno dei tanti oggetti statici di arredo.

In questa differenza è racchiuso un mare profondo.

Le strutture fisse devono avere una progettazione fatta per durare nel tempo, rispettosa degli accrescimenti e delle caratteristiche delle piante a cui sono ancorate, devono essere realizzate con materiali che poco subiscono l’azione deteriorante dei raggi solari, del bagnato, del gelo e degli acidi organici, frutto di calcoli strutturali e di dimensionamenti precisi.

Diverso e più semplice è dotarsi di alcune corde ed imparare a montarle e smontarle, potendo verificare di volta in volta lo stato di usura, e sperimentando ogni volta un gioco diverso, commisurato alla crescente confidenza e pratica che stiamo maturando con lo strumento.

Nel primo caso suggeriamo di rivolgersi ad una ditta che realizza le strutture che normalmente troviamo nei parchi acrobatici, tipo “albering”.

Nel secondo caso con poco più di un centinaio di euro possiamo procurarci una prima dotazione, e incominciare a impratichirci gradualmente. Montando e smontando le strutture saranno sempre nuove, sia dal punto di vista dell’invecchiamento, e quindi saranno più solide, sia da quello della novità: in questo senso potremo vivere il giardino non come un qualcosa di “fissato una volta per tutte”, ma in una continua evoluzione data dal dialogo tra stimoli colti dai bambini e dai nostri rispettivi rilanci, dalle loro competenze acquisite e dalle nuove sfide che colgono.


Un albero cresce, le corde no.

Tutti gli anni, ogni albero aumenta il diametro del proprio tronco.

Dove cresce l’albero? Nel perimetro più esterno, ovvero nei pochi millimetri subito sotto la corteccia, ove scorre la linfa. Questa è una delle parti più delicate dell’albero e la corteccia, in alcune specie così spessa e rugosa, serve proprio per proteggerla.

Una ferita della corteccia che arriva al punto dove scorre la linfa, può permettere l’ingresso di patogeni che possono portare all’ammalarsi della pianta. A seconda della patologia un albero ammalato può sopravvivere per anni, o morire in breve.

Una bella responsabilità quindi!

Ecco che la temporaneità delle strutture in corde permette alla pianta di non essere mai costretta per lungo tempo nello stesso “cappio strangolante”, e l’usura della corteccia esterna per la frizione con le corde avverrebbe sempre in punti differenti, evitando di incidere sempre nello stesso punto fino a creare una ferita.

A questo punto diventa evidente perché non bisogna mai abbandonare corde strette sui tronchi (soprattutto se si tratta di corde sottili), a maggior ragione cavetti d’acciaio, fili da stendere o catene, che per loro natura non possono allargarsi nemmeno volendo.

Chiaramente è importante scegliere di ancorarsi ad alberi in buono stato di salute e con una dimensione sufficiente per non soffrire le sollecitazioni meccaniche che subiranno. Qualora non si possiedano le competenze per valutare questi aspetti suggeriamo di evitare alberi con diametro del tronco inferiore ai 25cm.



Da dove parto?

A questo punto ci si potrebbe proprio porre questa domanda.

“Benissimo, mi piace, ma da dove comincio?”

Io partirei con imparare due semplici nodi:

- nodo delle guide con frizione (o otto ripassato)

- tecnica semplice di tensione e avvolgimento su albero

Il web ormai è densamente popolato di tutorial per ogni cosa, ma posso anche rivolgermi a un manuale, a un amico alpinista o marinaio, o intraprendere un percorso formativo sull’argomento. Fondazione Villa Ghigi è sempre a disposizione per condurre questo tipo di formazione.


Per iniziare basta tendere una corda tra due alberi.

Non servono strutture complesse.

E poi l’osservazione: vedere i bambini come interagiscono con questa novità.

Rispettando i loro tempi, ed i nostri tempi di apprendimento.

Come prima interazione con una corda tesa al livello del loro petto, spesso l’iterazione più classica che si osserva è quella di vederli aggrappare, e pian piano elaborare l’idea di sbilanciarsi indietro, spostando il baricentro fuori dal proprio corpo, e sentendo la tensione muscolare mantenere l’equilibrio per la stretta delle mani sulla corda.

Generalmente segue lo sbilanciamento in avanti, sulla corda tesa che sorregge il peso.

Alternando i due movimenti si crea un moto alternato oscillatorio, un dondolio sempre più fluido, capace di assecondare la risposta elastica della corda stessa.

Questi passaggi avvengono in modo spontaneo, non condotti da un ragionamento strutturato.


Quando sono più bambini ad approcciarsi in questo modo a una corda tesa, si origina un gioco collettivo complesso, in cui il movimento di ciascuno influenza quello degli altri. L’inerzia di ciascuno e la fase di oscillazione, diventano forza elastica che può enfatizzare o smorzare il movimento degli altri, in un sistema complesso comandato dall’ascolto empatico reciproco e dalle tensioni percepite a livello corporeo.


A volte il tutto muta in un gioco di sfida a far cadere gli altri dando dei colpi a strappo in controtempo.


In un gioco così semplice gli ambiti di apprendimento messi in gioco sono molteplici e variegati.

Si fa esperienza motoria, di equilibri e baricentri, di cinetica, di propriocezione, si sperimentano quelle leggi matematiche che saranno base per capire la fisica, si fa esperienza di come l’agire del singolo influenza la collettività, includendo tanti altri ambiti di apprendimento fino al campo musicale.

...musicale?

Il dondolio su quella corda è espressione fisica di ritmo, nonostante non sia ascoltata nota alcuna.

La velocità di oscillazione e tutte le sue variazioni e controtempi sono espressione tattile-motoria per sperimentare il tempo musicale.

Il gioco collettivo di sbilanciamento su quella corda prende i connotati della musica d’insieme, nell’organicità dell’ascolto reciproco, e dell’influenza di ciascuno sulla risultante dinamica complessiva.



Concludendo

Le corde sono un’opportunità di gioco che permettono molteplici sperimentazioni, donano svariate opportunità di crescita, e lavorano sia sul singolo che sul gruppo, permettendo di relazionarsi con i propri limiti e le proprie paure.

Si può iniziare a usarle partendo dal posizionare una semplice corda tesa tra due alberi e si può approfondire cogliendo le opportunità formative presenti attorno a noi, sia nelle cerchie di nostre conoscenze, che sul web, che in libri come Giocare tra gli alberi di Alexandra Schwarzer, che su specifiche formazioni ad hoc.

Le corde in questo senso vanno intese come gioco temporaneo in continuo montaggio e smontaggio, sia per la sicurezza, che per la salute degli alberi.


Roberto Calzolari

Fondazione Villa Ghigi

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